Alla morte di
Agostino Pepoli, primo Direttore del Museo, il Consiglio di
amministrazione affrontò con una certa sollecitudine il problema della
successione alla guida dell’Istituto. L’art. 20 dello Statuto, pubblicato
con Regio decreto il 1 ottobre del 19091,
disciplinava i criteri di designazione del direttore, che avrebbe dovuto
essere nominato dallo stesso Consiglio a seguito di pubblico concorso da
tenersi a Firenze2.
Il concorso, bandito nel marzo del 19113,
si concluse con l’individuazione quale vincitore di Antonino Sorrentino,
giovane studioso napoletano, appena trentenne, laureatosi a pieni voti
presso la Regia università di Napoli, allievo della Scuola Italiana
d’Archeologia di Roma, che poteva vantare al suo attivo svariate
pubblicazioni scientifiche nell’ambito dell’archeologia classica e
cristiana4.
La relazione redatta dalla commissione esaminatrice nel marzo del 1912 ci
offre degli spunti di riflessione su quale fosse all’epoca la vocazione
primaria del Museo5.
In un contesto culturale generale che attribuiva agli studi archeologici
un prestigio superiore rispetto a quelli storico-artistici, la commissione
riteneva che le competenze metodologiche e scientifiche del candidato
fossero tali da consentirgli di ricoprire con merito il ruolo per il quale
concorreva; nel riconoscere che lo studioso non mostrava specifiche
competenze nel campo dell’arte dei secoli XVII e XVIII, le cui raccolte
all’interno dell’istituzione museale erano da ritenersi di un certo
pregio, si faceva notare che l’indirizzo programmatico dell’Istituto
avrebbe dovuto rivolgersi non tanto alla valorizzazione ed all’ampliamento
delle collezioni d’arte di quel periodo, già ampiamente presenti nella
vicina Palermo, quanto piuttosto al potenziamento degli studi e degli
scavi archeologici nella Sicilia Occidentale, al fine di mettere in luce
gli avanzi della grecità classica, compito per il quale il Sorrentino
appariva senz’altro idoneo. Tale impostazione veniva largamente condivisa
dal Consiglio di amministrazione, che, nella seduta del 29 marzo 1912,
sposando l’indirizzo suggerito dalla commissione6,
nominava il nuovo direttore7.
Di di verso tenore tuttavia sarebbero state in futuro le scelte del capo
d’Istituto, il quale, come vedremo in seguito, pur non tralasciando il
riordino delle raccolte archeologiche, cui si dedicò con vigore negli
ultimi anni del suo incarico, seppe intuire con largo anticipo
l’importanza e l’unicità dell’artigianato artistico trapanese dei secoli
XVII e XVIII.
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Alla nomina seguì, a breve
distanza, l’approvazione di un regolamento organico dell’Istituto8
e, nel giugno del 1912, la pubblicazione del bando di concorso a titoli ed
esami al posto di Conservatore-segretario9,
dal quale risultò vincitore il ragioniere Tommaso Passalacqua, cui fu
affidata, secondo l’articolo 22 dello Statuto, la consegna del fabbricato
e di quanto contenuto, «al fine di curarne la custodia e l’integrità»10.
L’operato del Sorrentino, in carica per 15 anni, può essere valutato
attraverso la lettura delle relazioni annuali11
che egli sottoponeva periodicamente al Consiglio di amministrazione per
rendere conto del suo lavoro, pubblicate per stralci nell’«Archivio
Storico Siciliano»12.
Da questi documenti e dal tenore dei suoi interventi nel corso delle
sedute del Consiglio emerge una personalità forte e vigorosa, una tempra
orgogliosa e fiera, che associava il rigore dello studioso all’attenzione
costante verso le problematiche della conservazione delle opere d’arte,
della fruizione e della didattica museale.
Il riordinamento del Museo
(prima fase)
Nei
primi due anni di permanenza nel nuovo incarico il Direttore avviava un
organico ordinamento delle collezioni, con uno snellimento ed una
razionalizzazione del materiale esposto, privilegiando, ove possibile,
un’impostazione cronologica; tali operazioni determinarono il superamento
del criterio di “massima esposizione possibile” adottato dal Pepoli e la
conseguente collocazione di alcuni beni, ritenuti di non rilevante
interesse storico-artistico, nei depositi museali. Così si esprimeva nel
1914: «era un materiale svariato che il Pepoli radunò qui con la sua
ammirevole tenacia e, senza ordinarlo, legò in testamento al primo
direttore del Museo la non facile impresa di un riordinamento razionale e
scientifico. Dare a queste raccolte una sistemazione, fin dove era
possibile cronologica, esporre, dopo rigorosa selezione, le importanti e
migliori entro ambienti arredati con semplicità e decoro furono i concetti
informatori del mio nuovo ordinamento »13.
La selezione dei materiali comportò in quegli anni la restituzione di
numerosi beni ecclesiastici (dipinti, sculture, suppellettili), ritenuti
di non rilevante interesse artistico, alle rispettive chiese di
pertinenza, per esigenze di culto.
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